Intervista a Schneider TM, l'investigatore del suono

Chi ha detto che la musica elettronica è troppo fredda e impersonale? Dirk Dresselhaus, in arte Schneider TM, è la riprova vivente che musica e tecnologia non solo possono convivere egregiamente, ma che alla fine sono solo strumenti come altri per comunicare stati d'animo e sentimenti.
Scheneider TM infatti ha due caratteristiche sopra tutte le altre: la sensibilità tipica dei cantautori e le ambizioni di chi è interessato a esplorare nuove frontiere del suono.
Berlinese di nascita, Dresselhaus musicalmente nasce come batterista, chitarrista e cantante in gruppi tedeschi di discreto successo fin dalla sua adolescenza, nei tardi anni '80. Ben presto abbandona le indie rock band e la canzone tradizionale per forme d'espressione innovative, fortemente connesse all'utilizzo di drum machine, campionatori, vocoder e sintetizzatori.

La tua passione per la musica inizia molto presto, attraverso le tue collaborazioni con gruppi tedeschi folk-pop, quali Hip Young Things e Locust Fudge, in qualità di chitarrista, batterista e cantante. Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato in questa prima fase del tuo approccio alla musica?

Avevo 14/15 anni negli anni ’80 ed ascoltavo diversi generi di musica, poi improvvisamente ho scoperto i Velvet Underground, uno dei gruppi che mi ha maggiormente influenzato. Inoltre i Pink Floyd, i Sonic Youth, i My Bloody Valentine, altri rappresentanti dell’indie rock e dell’indie pop. Potrei citare una delle più grandi band degli anni ‘80 quale i Talk Talk, soprattutto con l’ultimo album, o ancora Neil Young e i Crazy Horse.

Quali sono i fattori che successivamente ti hanno portato a scegliere la musica elettronica?
Era intorno al 1994/1995, ho iniziato ad utilizzare il suono della batteria o della mia chitarra attraverso il computer, creando degli effetti di distorsione. Ho voluto unire lo stile di vita inglese con la musica elettronica tedesca: ho scelto l’elettronica proprio per espandere le possibilità di creare musica. Ho cominciato ad utilizzare qualsiasi cosa suonasse (come una batteria ecc.) e a mixarlo con l’elettronica, ispirandomi al mondo dell’indie rock, dei Nirvana e così via. Tutto questo si è rivelato anche abbastanza conveniente, perché così facendo non si ha bisogno di una vera e propria band. In tal modo ho utilizzato strumenti molto semplici per comporre la mia musica, come per esempio una sedia: credo che qualsiasi suono sia interessante e possa essere utilizzato dalla musica. Quello che mi colpisce fondamentalmente è il suono in tutte le sue sfaccettature, non ho scelto l’elettronica perché è cool suonarla!

Dopo il successo di Moist, nel quale si respirano atmosfere indie accanto a sperimentazioni elettroniche che hanno già il tuo inconfondibile stile, decidi di tornare con la band Locust Fudge. A cosa è dovuta questa tua scelta?
L’ultimo album che ho fatto con i Locust Fudge è del 1995, quindi in realtà non sono tornato con loro per comporre musica, abbiamo fatto soltanto qualche concerto insieme. Comunque non mi piace che ci siano limiti in quest’ambito, qualsiasi cosa può essere possibile; allo stesso tempo deve esserci, però, una linea rossa, un filo conduttore, rappresentato dal proprio stile. In realtà non mi piace essere definito “elettronico” o quant’altro, poiché faccio ciò che mi sento di fare e considero ogni genere musicale connesso, dal soul all’electro.

Da che cosa proviene il nome Schneider TM?
Schneider è il mio nickname fin da quando avevo 18 anni, TM è stato un po’ uno scherzo! Ho iniziato ad utilizzare questo nome per una piccola casa discografica, con cui ho fatto un 12 pollici: in quell’occasione mi ha sentito la Cityslang Records, ha apprezzato il mio lavoro nonché il mio nome e mi ha proposto di comporre un album elettronico. In quel momento non avevo voglia di fare un album elettronico, ma accettai anche perché avevo bisogno di soldi: perciò la scelta non è stata dovuta ad una mia idea, anche se sapevo che sarei stato capace di cimentarmi nell’elettronica. Avrei potuto fare anche qualcosa di metal, in quanto ciò che apprezzo è il potere del sound in generale, è lo spirito della musica sotto tutti i suoi aspetti. Credo comunque che nella vita ci siano molti segni e bisogna saperli leggere: così è stato per me quando mi è stato proposto di fare un album elettronico piuttosto che uno rock, ho seguito quel “segno”, che poi mi ha portato fortuna.

Come nasce la collaborazione con il tuo amico Kpt Michigan, ovvero Michael Beckett?
Michael ed io siamo molto diversi, molto eterogenei per essere due che compongono insieme, ma è proprio questo ciò che mi piace, in quanto anche se abbiamo dei gusti differenti riusciamo ad ottenere qualcosa di particolare, di chimico con i nostri mix. Intorno al ‘94/’95 stavo suonando nel sud della Germania ed ho conosciuto Michael e la sua band, dei ragazzi veramente pazzi!, al backstage di un loro concerto; Michael rideva tantissimo e a me questa cosa dava quasi fastidio… Successivamente abbiamo fatto un tour insieme - con la sua band - ma ancora non eravamo molto legati. Nel giro di due anni invece è diventato il mio migliore amico e tuttora mi piace molto. Un giorno Michael ha perso il treno per tornare a casa, si trovava nella mia città natale, è venuto a bussarmi ed io lo ho ospitato. Così abbiamo iniziato a parlare molto, abbiamo bevuto un po’ e già le cose andavano meglio; poi abbiamo preso l’LSD [n.d.r.: gli ho chiesto se quest’ultimo particolare voleva metterlo nell’intervista, mi ha risposto di sì], siamo entrati in un’atmosfera un po’ diversa  e siamo riusciti a capirci al 100%. E’ stata una delle più belle giornate che abbiamo vissuto insieme, da quel momento la nostra unione s’è rafforzata; posso dire che l’LSD ha salvato la mia testa, mi ha fatto andare oltre; dopo la prima volta con Michael l’ho ripreso altre 4 volte. Abbiamo composto musica insieme ed è stato stupendo! Ci siamo uniti ad un livello molto profondo, anche se comunque siamo persone che hanno differenti modi di vedere il mondo e la musica. Pertanto la nostra collaborazione musicale è prima di tutto amicizia, più che un legame professionale: siamo molto diversi eppure la nostra unione ci permette di raggiungere certi risultati.

Zoomer è il tuo primo album completo: le voci sono al confine fra l’umano e la macchina, ciò permette un’ampia capacità comunicativa. So che lo chef non rivela il segreto della sua cucina, ma mi piacerebbe comunque sapere qual è il percorso che ti spinge in questa direzione.
A me non piacciono i suoni puri, ma quelli distorti e così è in Zoomer, mentre nel precedente Moist si ascoltava maggiormente l’elettronica pura. Non pongo limiti alla mia fantasia e alla mia musica, ritengo che qualsiasi cosa è possibile, principalmente in questo ambito. Si può mescolare insieme la musica soul, o qualcosa di più intellettuale: quello che m’interessa è lo spirito della musica, credo che qualsiasi tipo di musica è molto importante. Non credo di essere un eclettico, perché quando compongo questo meccanismo viene molto naturalmente, sono molto spontaneo. Non penso mai a quello che sto facendo, lo faccio e basta. E’ l’istinto che mi spinge, è lo spirito della musica che mi avvolge, non suono per diventare famoso, come per esempio Michael Jackson, Robbie Williams, Brtiney Spears… Questi cantanti sono vittime del mercato, sono vittime della loro fama. Anche se suona molto presuntuoso, la mia è una scelta di tipo religioso, non suono per soldi.

La novità del tuo sound consiste nell’armonizzare magicamente vocoder accanto a melodie tradizionali, come dimostra The Light 3000, la cover di There is a light that never goes out degli Smiths. Questa cover è più bella dell’originale, perché l’intensità drammatica è esaltata dalla tua musica, mentre la canzone degli Smiths ha un carattere più distante. Che cosa ti ha ispirato? Come mai l’hai arrangiata in questo modo?
Grazie, la maggior parte delle persone che ascoltano entrambe le canzoni mi dice che la mia versione è più bella!.. Mi piace fare random, ho ascoltato la canzone degli Smiths per diverso tempo, poi ho pensato che era divertente trarne una versione elettronica.

Fino a che punto la senti come la “tua” canzone, dal momento che è una cover ed è anche la tua canzone di riferimento?
In effetti ovunque vada nel mondo tutti mi riconoscono per questa cover! E’ una canzone bellissima, che racconta una situazione familiare difficile. E’ nato come un gioco il volerla rifare.

Il domani è un’opportunità o una scusa?
Il domani è un’opportunità, è bellissimo perché non è adesso, rappresenta sempre una chance per poter migliorare le cose. Non prendere il futuro come opportunità è una forma di pigrizia ed io non sono un pigro!


 

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